lunedì 1 marzo 2010

Black Nymphalidae | Alle volte bisogna nascondersi a sè stessi per ritrovarsi.

I Demoni dell'Anima.





Seduta sul letto. L'aria sa di stanza chiusa, di sudore, di fumo. Completamente nuda, si volta e vede lui, dormiente. Avvolto nelle lenzuola di cotone e la schiena scoperta.
Queste sono le delusioni che, coscientemente, ci andiamo a cercare scappando. E io cercavo qualcun altro ieri sera.
Ho poco da rigirarmi. Mi alzo e nella penombra esco dalla stanza e mi avvio verso la cucina. L'appartamento è piccolo e spoglio. Pochi mobili ed è disseminato di scatoloni.
Scalza, sento il pavimento freddo. Non ho tempo. Caffè e doccia. Mi preparo per una monotonia che inizia a pesare, sono completamente demotivata a fare ogni giorno quello che faccio. Anche l'ufficio inizia a farmi schifo. Non è essere pendolare che mi pesa, anche se quelle due ore al giorno vanno perse così, ma mi sta bene. Osservo tutto il tempo e penso. E' stare in mezzo alla gente che mi dà fastidio.
Mi chiudo dentro me stessa a sopportare e alle volte stringo i denti talmente tanto che sento il sangue colarmi sulla lingua dalle gengive.
Io sono rabbiosa. E odio sistemarmi da femminuccia perfettina per adattarmi all'immagine.
Anche se sono perfettamente consapevole che la mia capacità di adeguarmi e di attendere, attendere fino al momento propizio, mi ha fatto arrivare fin qui, a discapito degli altri. Io sono ambiziosa. Solo che, poi, andando avanti, mi ritrovo sempre a sbattere contro quel fottuto nichilismo. Sono contraddittoria. Do il massimo in stile Fascista, ma finisco sempre per preferire il nulla alle mie ambizioni. Non è che mi "scoraggio", questo no.
Mi prendo ciò che voglio. Ma quel tutto, che fa parte di tutto il mio mondo, per me non vale niente. Se non fosse per quelle pochissime persone in cui credo, a cui tengo, probabilmente avrei continuato a provare ad uccidermi. Senza lacrime e senza piagnistei. Ho il cuore spento.
Fottuto nichilismo. Probabilmente è l'unica cosa che fa veramente parte di me. Consapevolezza. Contraddittorietà. Quando avevo 15 anni, al primo accenno di sadomasochismo, bilaterale tra l'altro, i miei genitori hanno avuto la felice idea di mandarmi da uno psicologo. Ho pensato che era normale io fossi unica, fossi strana, fossi introversa e agguerrita. Incazzata. Un po' come tutti gli altri. E penso che l'esperienza sia stata fondamentalmente traumatica per loro, non per me. Io ho solo scoperto che la mia contraddittorietà mi avrebbe reso stabile ed equilibrata come poche persone al mondo. Alterno il tutto con tenacia e rassegnazione. Faccio tutto e vivo bene. Sono di quelle persone che non imparano mai dai propri errori, che ci provano fin quando non si annoiano e lo fanno, appunto, per rendere sensata la propria esistenza. In assoluta calma, in assoluta tranquillità, in piena responsabilità scelgo quei momenti in cui devo essere irresponsabile e in cui sciogliere la mia passione.
Sono studiata, calcolata, programmata. Non sentendo niente, invento. In silenzio. Mi alterno. Come tutti. Ma adesso sto scappando.
Ogni giorno, sotto il sole e tra il chiacchiericcio della gente, mi faccio quattro chilometri a piedi. Lì ho tutto il tempo di farmi venire dubbi e paranoie al telefono con lui. Si sa, le donne sono masochiste. E questa è una buona spiegazione: sono donna, quindi sono masochista. Il sadismo è un'altra storia. Le donne non riescono ad allontanare chi amano anche se subiscono del male. E tendo a chiudermi nel mio profumo e a farmelo bastare.
Dopo un po' che stavamo assieme ho capito che non saremmo mai arrivati a un cazzo. E forse è proprio questo che non capisce quando gli dico che gli sono sempre andata incontro. Nonostante questo, nonostante ciò in cui credevo e ciò a cui ambivo non sarebbe mai stato realizzato con lui, ho continuato ad ascoltarlo e a volerlo.
Questo è andare incontro.
Tanto si sarebbe arrivati a un punto di svolta, nel bene o nel male, prima o poi. La situazione sarebbe cambiata per cominciare un'epoca tutta nuova. Non avevo considerato che ci sarebbe potuto essere un momento di stallo lungo mesi, prima, prima di arrivare alla decisione finale. E per una che cerca di essere costantemente produttiva, forse anche in maniera esasperata, è a dir poco straziante. Le situazioni di stallo creano depressione, sensazione di inutilità, inquietudine. Torna il nichilismo. E io cerco di scappare dal mio lato oscuro.
In quei chilometri ho il tempo di bestemmiare almeno a tre automobilisti che non mi fanno passare sulle strisce, di fumare anche tre sigarette e prendere due caffè. Poi arrivo e cominciano quella decina di "buongiorno", mi piazzo davanti al computer scassato verso cui continuano ineluttabilmente le bestemmie e via fino alle quattro che ricomincio a fare chilometri, che a sera sono tra gli otto e i dieci. Questo si, direi che mi pesa. E mi capita sempre di pensare a P., l'amico perfetto con cui, sfiga vuole, non si riesce a beccarsi mai. Ci siamo quando serve, l'uno per l'altra, e questo è più di quanto si potesse sperare, da ricevere da una qualunque persona.
Gli racconto spesso di come mi sta cambiando tutto sotto mano da quando mi sono trasferita. Di quanto sia cambiata la mia vita di punto in bianco, dei miei nuovi amici, dei miei progetti, del futuro. E del passato che ritorna sempre.
G. non è facile da spiegare. Quando iniziavamo a trescare, una sera davanti a un film, gli ho detto «Salvami». Mi ha risposto: «Ci sto provando». E due secondi dopo ripetevano la stessa scena nel film. Old Boy. Io lo conoscevo a memoria, ma G. no ed è stato strano.
Con lui - ho continuato la mia vita senza di lui.
Ma con la sua costante presenza a 700km di distanza.
Non c'era, ma lo sentivo.
Dopo anni non riesco a spiegarmi come abbiamo fatto ad innamorarci così, in compenso so benissimo come abbiamo fatto a smettere e quant'è dura la guerra per difendere quello che abbiamo provato, per difenderlo contro il tempo che passa. Quanto è duro l'odio che si prova quando la persona che ami non ti dà ciò di cui hai bisogno.
Torno a casa dopo treni, pullman, chilometri e troppe persone. Il mio pigrissimo gatto non mi viene neanche più incontro per quei due piani di scale, tanto sa che prima o poi arriverò. E arrivo puntualmente al momento in cui, nella mia stanza, il mio cervello si sfonda a cercare di tritare ancora la massa di pensieri nella mia testa in immagine logica, parole. Prendo il telefono e a lui che è in viaggio scrivo che forse ha preso la strada sbagliata. Che dovrebbe venire qui da me, ma non lo capisce. Le sensazioni si affievoliscono e prendo la macchina per produrre ancora, dato che la giornata non è ancora finita, quindi ancora sfruttabile. Un caffè con J. ci sta tutto, ma appena inizia a lamentarsi per le solite cazzate (per cui, secondo me, manca solo di determinazione) gli dico che ho da fare, che è anche vero, e scappo di nuovo. In giro per i negozi penso ancora alla svolta. A dare una svolta. A migliorare la situazione, a migliorare sè stessi, a stare tranquilli, alla gente che voglio bene, a quello che devo fare, a mia madre che scassa le palle, alle situazioni strane, a V., anche lei non la vedo da tanto, a cosa farò la sera, a fare uscire i cani, a prepararmi, a sorridere anche se non c'è motivo perchè l'atteggiamento positivo è importante, a quello che ho e a quello che voglio. Penso per luoghi comuni. A ciò che serve.
Per un attimo riesco anche a dimenticare tutta la delusione e a cancellare dalla mia testa uno che non c'è mai veramente stato. Poi, compiaciuta, mi rendo conto che non ho fatto altro che pensare a lui ancora. Mi torna in mente che per puro sarcasmo mi ha chiesto di sposarlo, a quanto è stato deficiente a non capire mai che era lui ciò di cui avevo bisogno. Al suo costante ritorno, al suo capire quand'è troppo tardi. Ho solo voglia di mandarlo a fare in culo e andare avanti per la mia strada perchè alla fine la delusione post illusione si supera in ogni caso, sempre e comunque. Anche se dentro so che con me è sincero, cerco di convincermi a posizionarmi su una scelta definitiva. Ma non ci riesco.
Sai, so che sto ferendo tante persone. So che se solo tu me lo chiedessi verrei in questo momento da te. Mi lascerei tutto alle spalle per vederti ogni giorno, per fare quello che mi scrivi così spesso, che vuoi e che non fai. Vorrei diventare guerriera per combattere le tue battaglie, i tuoi blocchi, i tuoi traumi. Trasformerei la mia rabbia in forza e probabilmente per ogni giorno ci sarebbe un buon motivo.
Di nuovo a casa, di nuovo doccia. Si esce. Mi preparo. Non vedo l'ora di annegarmi nell'alcohol, alla fine. Volendo mi metto anche un po' in tiro, mi trucco e mi vesto. In silenzio. Non trovo più la musica giusta. Un tizio, e il tizio lo conosco veramente bene, tra i discorsi mi dice che sono di quelle persone che ti fermi a guardarle. Che speri non parlino mai. Immagini come sensazioni e ricordi, da chiudere, conservare e custodire. So che quello che dico alle volte è frustrante e sono stanca dei confronti. Aspiro all'intesa silenziosa, in cui le parole sono di troppo. Un long island. E magari al posto della coca (che mi fa schifo) ci metti la birra. Già premono per il giro di tequila sale e limone. Mi piace sia il sale, sia il limone, sia la tequila. Ma è un miscuglio che alla lunga ammazza. In effetti aiuta a passare tutta la serata a parlare di ciò che hai fatto durante il giorno, a fare domande su domande e a rispondere a tutte, anche se si è stabilito che dopo le nove il lavoro è un discorso off limits. T. si avvicina e propone sempre la stessa cosa. Prima o poi ce la farai, lo sento. Per quanto sia complicato, appare ma non lo è, tutto mi fa bloccare. La sensazione di colpevolezza e di dolore non ce l'ho nei confronti di G. Con lui mi sembra che abbia perso tutto il perdibile, che io non so resuscitare i morti. E T. mi dice di andare avanti, mi porge la sua mano. Quelle lì si che sono situazioni di merda. G., T., io. Il blocco, lo stallo. L'incazzatura. E si, si finisce per fare cazzate e per non concludere nulla, alla faccia della produttività. Nell'aria fredda della sera. Ci vuole una camminata mentre tutto è ampliato.
Mi fermo.
Dato che tutto è problemi, mi fermo. E' inutile lamentarsi, ed è una cosa che profondamente odio. Mando tutto e tutti a quel paese e raggiungo quell'attimo di tranquillità assoluta che ho aspettato tutta la giornata, tra un pensiero e l'altro. Ogni volta penso che quell'attimo è un addio, un abbandonarsi alle cose pratiche e materiali perchè non ha senso perdersi in ciò che non c'è. Perdersi l'uno fra le braccia dell'altra. Spuntando con una linea ogni progetto, contro quel piccolo lamento che ancora sussiste nella sera.
T. mi guarda. Mi sorride. E ogni suo sorriso mi spiazza, inconsapevole al tutto. E' capace di cancellarlo, quel senso di colpevolezza e di prendersi ogni respiro aritmico. Coordinare un suo gesto a una mia sensazione, mentre mi mordo la lingua perchè il passato che vorrei cambiare non sarà mai così. E ogni giorno ritorno sui miei passi, senza mai arrivare.
Torno a casa infinitamente stanca, conscia di avermi trascinato in un giorno che avrei fatto volentieri a meno di vivere. Il disgusto mi attanaglia ed è tanto forte da farmi chiudere gli occhi. Mi porto la pistola alla bocca. Immagino. E sparo.
Sogno di non vedere mai più T. e mi sveglio sudata e affannata. Sento l'immotivata angoscia trattenermi incredula. Guardo l'orologio. Sono le 04:45 del mattino. Ho ancora il sapore della tequila in bocca e penso che mi viene da vomitare. Fuori è ancora buio, io sono ancora stanca. Chiudo gli occhi e rientro nel sogno. Scatto in piedi all'istante. Accendo una sigaretta e corro in fretta a lavarmi e a prepararmi, perchè devo andare da lui. In macchina mi fermo in aperta campagna di fronte a tutta la mia irrazionalità. Ripercorro tutta una giornata che non mi sembra ancora finita, nonostante io abbia dormito. Guardo il cielo. E mi calmo.


Durante la propria vita, le farfalle cambiano radicalmente la struttura del proprio corpo e le loro abitudini (metamorfosi). Il loro ciclo vitale è caratterizzato da 4 stadi: uovo, larva o bruco, pupa o crisalide ed infine la forma adulta o immagine.
La femmina depone le uova su un vegetale adatto. Dopo un certo tempo le uova schiudono e nasce una larva detta bruco, priva di ali e incapace di volare, che si muove grazie a tre paia di zampe toraciche e alle pseudozampe addominali. Il bruco è privo di occhi composti e di spirotromba. Possiede però un apparato boccale masticatore con delle robuste mandibole, grazie alle quali si nutre principalmente di parti vegetali, soprattutto foglie.
Il rivestimento della larva non si accresce e quindi deve essere cambiato periodicamente per 3-5 volte (mute). Dopo aver subito varie mute cuticulari e aver raggiunto il suo massimo sviluppo, la larva matura smette di nutrirsi e cerca un luogo adatto dove trasformarsi in pupa, sotto una foglia, su un ramo o a terra. Con la seta la larva si costruisce supporti con cui attaccarsi al substrato; la sua cuticola si lacera e fuoriesce la crisalide o pupa. In questo stadio, l'insetto rimane immobile, può essere ancorato a capo in giù ad un substrato mediante un uncino posteriore detto cremaster (in particolare nelle Nymphalidae) oppure la metamorfosi può avvenire all’interno di un bozzolo sericeo o in una celletta nel terreno. In questa fase subentrano notevoli modifiche che porteranno la pupa a trasformarsi in una farfalla adulta. Quando il rivestimento della pupa si lacera, fuoriesce faticosamente la farfalla che, dispiegate le ali, prende il volo.
In genere la vita da "farfalla" è abbastanza breve, varia da qualche giorno ad una settimana o due e, solo in alcuni casi, raggiunge il mese di vita. Non mancano le eccezioni quali le grandi falene della famiglia delle Saturnidae: hanno vita breve e non si nutrono, tanto che hanno perso la bocca per atrofia.


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Lost In Tears 4.0 (con)templating Madness